Moeche: i granchietti ‘morbidi’ dal sapore unico
Alla scoperta delle moeche, una prelibatezza veneziana dalle origini remote e poco conosciute.
Le ‘Moeche’ sono dei piccoli granchi verdi che secondo un’antica tradizione gastronomia veneta, vanno degustati in un determinato periodo dell’anno, in primavera e in autunno, nel momento esatto in cui i piccoli crostacei attraversano la fase di muta e abbandonano per poche ore il proprio carapace, diventando teneri e deliziosi.
Il primo documento che cita questa prelibata pietanza risale a più di due secoli fa, quando il naturalista Giuseppe Olivi descrisse per la prima volta i minuscoli crostacei nel volume del 1792 ‘Zoologia Adriatica’: “I granchi per acquistare il loro accrescimento cambiano ogni anno crosta. Nei momenti che precedono la muta i nostri pescatori li raccolgono e li radunano in carnieri tessuti di vinchi, volgarmente viero, li collocano a mezz’acqua nei canali. La nuova situazione non impedisce loro di svestirsi: essi perdono la vecchia crosta, e compariscono coperti dalla nuova, ancor molle e membranosa: in tale stato chiamati Mollecche, salgono anche alle mense più nobili”
Reti da pesca
Fin da quei tempi abili pescatori, i cosiddetti moecanti, con grande maestria catturano questi piccoli granchi con apposite reti poste nei fondali delle lagune veneziane, nelle zone di Mazzorbo/Burano, Chioggia e nell’isola della Giudecca. Il termine ‘Moeca’ significa morbida e deriva dalla tenera consistenza che i crostacei assumono con la perdita della corazza, prima che a contatto con l’acqua salmastra si ricostruisca.
Purtroppo questa preziosa pratica rischia di scomparire a causa il sempre più ridotto numero di pescatori che si dedicano al recupero di questi piccoli crostacei. La vita dei moecanti è dura, si devono alzare alle prime ore del mattino per posare le reti da pesca e i pali verticali che fungono da sbarramento a cui vanno fissate trappole di legno. Fondamentale inoltre è la tempestività in cui la pesca deve essere effettuata: solo i pescatori più esperti sono in grado di riconoscere i segni nel carapace che indicano che il granchio sta per fare la muta, un segreto che si tramanda di padre in figlio.
Questa prelibatezza sempre più rara può costare fino 90 euro al chilo. I granchietti vanno cucinati ancora vivi: si mangiano interi, generalmente fritti in pastella, ma possono anche essere assaporati lessi con aglio e prezzemolo, accompagnati dall’immancabile polenta bianca.
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