La coltivazione di grano duro continua a crescere in Italia, mentre scende quella del mais
La fisionomia delle coltivazioni a cereali in Italia è cambiato molto negli ultimi dieci anni, con le coltivazioni a grano duro che aumentano mentre diminuiscono sempre più quelle a mais.
Secondo l’ultimo report dell’Istat sul settore, nel confronto tra il 2010 e il 2020, il frumento duro aumenta la sua incidenza sul complesso delle superfici cerealicole, passando dal 36,9% al 40,3%. La coltivazione del mais, al contrario, incide sempre meno sul totale dei cereali: dal 26,7% al 20,1%. Un discreto incremento caratterizza anche il frumento tenero (dal 15,8% del 2010 al 16,7% del 2020) e l’orzo (dal 7,8% all’8,8%).
La Puglia è la regione che segna la maggior superficie a grano duro: nel 2020 344.300 ettari contro i 283.870 ettari nel 2010, anno in cui la Sicilia deteneva il primato della superficie (301.821 ettari). La crescente propensione a investire nella coltivazione di frumento duro può essere ricondotta all’aumento dei prezzi dovuto, a livello sia nazionale sia mondiale, alla scarsità dell’offerta rispetto alla domanda.
Per quanto riguarda il mais, invece, risultano significative le riduzioni di superficie in Lombardia (da 221 mila ettari nel 2010 a 137 mila ettari nel 2020) e nel Veneto (da 229 mila ettari a 154 mila ettari). In dieci anni, a livello nazionale, il calo della superficie a mais è del 35% (da 927 mila ettari a 603 mila ettari).
Nonostante il mais rappresenti la prima coltura cerealicola nazionale in termini di produzione e per livello di resa produttiva per ettaro, il settore maidicolo ha perso progressivamente competitività a causa di una serie di criticità convergenti: la contrazione dei prezzi, gli elevati costi fissi e il maggiore rischio sanitario a cui sono esposte tali colture, che incide anche sulla componente variabile dei costi.
Anche se si sta riducendo la propensione a utilizzare le superfici a seminativi per coltivare cereali le intenzioni di semina di alcune colture erbacee per l’annata agraria 2020-2021 indicano una previsione di crescita dell’1,6% rispetto all’annata precedente. È un dato in controtendenza rispetto alle annate precedenti, caratterizzate da continue flessioni, di intensità variabile, dovute soprattutto alle basse quotazioni e alle conseguenti erosioni dei margini di profitto sui costi fissi delle coltivazioni.
Il 2020 è stato un anno di svolta soprattutto per il frumento duro, che ha mostrato anche a livello internazionale una crescita della domanda, non controbilanciata da un adeguato aumento dell’offerta, con la conseguente impennata dei prezzi.
Proprio al grano duro è riconducibile la previsione più elevata di incremento di superficie coltivata: le aziende agricole intervistate prevedono un rialzo significativo pari al 5,6%. Anche per il mais si prevede un cambio di tendenza rispetto agli ultimi anni e, per l’annata agraria 2020-2021 un seppur lieve aumento delle superfici coltivate, probabilmente riconducibile al ruolo importante di tale coltura nell’ambito delle filiere della zootecnia e della bio-industria. Per l’orzo si prevede, invece, una riduzione della superficie pari al 7,7%, per il frumento tenero dell’1,6%.
In chiave territoriale, per le superfici destinate a frumento duro, nel Nordovest è previsto un incremento del 15,2% e nel Nordest di ben il 24,7%, quota su cui incide la produzione dell’Emilia-Romagna destinata a soddisfare le richieste del settore pasta.
Per il frumento tenero, si prevede una contrazione di 10,8 punti percentuali nella ripartizione Nordest (dove si trova circa il 47% delle superfici nazionali di coltivazione del cereale) e una stima di aumento, al contrario, del 14,4% del Nordovest. La contrazione prevista per le superfici coltivate a orzo caratterizza tutte le ripartizioni geografiche, con picchi nel Centro (-11,7%) e nel Nordest (-11,5%). Per le superfici coltivate a mais, si prevede una crescita pari allo 0,4% a livello nazionale e una contrazione in tre aree geografiche su cinque (Nordovest -0,4%; Centro -8,4%; Sud -5,9%).
Quanto alle diverse forme di erogazione finanziaria previste per far fronte alle conseguenze della pandemia la maggioranza delle aziende agricole (il 59,2%) dichiara di aver chiesto e ottenuto almeno una forma di aiuto economico. In particolare, il 51,2% ha ottenuto contributi statali, il 13,3% ha usufruito di fondi europei e l’11,4% ha avuto accesso ad altre forme di sostegno.
Il settore si è avvalso di fondi straordinari che hanno consentito di accrescere i ricavi e contenere le perdite derivate dal Covid. La quota relativa più elevata di aziende che hanno chiesto e ricevuto aiuti caratterizza il Sud (il 61,7% delle aziende agricole intervistate nella ripartizione) e si mantiene molto vicina alla media nazionale in ogni ripartizione territoriale. La quota più bassa si registra nel Centro (58%).
Una sostanziale omogeneità della quota di aziende che hanno ricevuto contributi pubblici si riscontra anche in funzione della dimensione aziendale. Le aziende più piccole (fino a 10 ettari di SAU) hanno ottenuti sussidi nel 61,6% dei casi, quelle più grandi, con superficie compresa tra 50 e 100 ettari, nel 58,1%.
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Fonte: CIA
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