Il CETA rivoluzionerà il mercato agro-alimentare italiano?
Dopo le posizione espresse dal vice premier Di Maio e dal ministro dell’agricoltura Centinaio, sembra ormai segnata la sorte dell’accordo che non verrà ratificato. Ma quali sono le motivazioni?
La tensione riguardo al Ceta è in questi giorni altissima. Da un parte troviamo schierati i contrari al Ceta, tra cui il ministro Centinaio, il vice premier Di Maio e la Coldiretti mentre dall’altra parte i sostenitori tra cui Confidustria ed i grandi esportatori.
COS’È IL CETA?
Il CETA, acronimo di comprehensive economic and trade agreement, è un accordo commerciale tra UE e Canada. Ad oggi è valido in forma provvisoria e sperimentale, in attesa di essere ratificato da ogni singolo paramento europeo per entrare effettivamente in vigore. Sono già 11 i paesi UE ad aver ratificato l’accordo, ma basterà anche solo un paese contrario a compromettere l’applicazione dell’accordo e mandare in fumo tutto il lavoro.
I punti principale del CETA sono la sostanziale riduzione dei dazi bilaterali di circa il 90%, e l’introduzione di tutele per i prodotti IGP ( indicazione geografica protetta) al fine di combattere la contraffazione dilagante delle specialità alimentari italiane ed europee.
L’Italia con il Canada vanta un robusto legame commerciale; solo nel 2017 il Canada ha importato beni dall’Italia per 8,1 miliardi di dollari contro 2,3 miliardi di dollari di beni canadesi importati nel nostro paese. La bilancia commerciale è senza dubbia sbilanciata verso verso l’Italia che ha ogni anno un saldo commerciale positivo di circa 6 miliardi di dollari.
Il comparto alimentare, vale 3,4 miliardi di dollari del totale delle esportazioni (circa il 40%) e come si può notare dal grafico, sono le bevande alcoliche che generano maggiore indotto, nel solo 2017 si sono vendute bottiglie di vino per circa 333 milioni di dollari.
Considerando quindi, una riduzione sostanziale dei dazi e una crescente tutela delle specialità alimentari europee, quali sono le motivazioni contrarie al CETA?
Le motivazioni contrarie sono incentrate soprattutto sull’utilizzo da parte del Canada di sostanze tossiche (o presunte tali) in agricoltura e allevamento e la non salvaguardia di alcune denominazione/indicazioni protette. In Canada e negli Stati Uniti sono infatti legali alcune molecole che in Europa sono vietate da anni, tra cui l’ormai celebre glifosato, la streptomicina (illegale in Italia dal 1971) e l’utilizzo di ormoni in allevamento.
Questi dati sono importanti ed è corretto discuterne ma non sarà una questione futura; l’Italia importa già 1,2 milioni di tonnellate di grano ogni anno (fonte Coldiretti) trattate con tali sostanze. Non è un problema che sorgerà grazie al Ceta, è qualcosa che già esiste da tempo. Mentre per la salvaguardia delle IGP, il CETA ne comprenderà, parlando delle sole italiane, 41 su 288. Certo, si sarebbe potuto fare di meglio, ma le condizioni attuali prevedono che non si riconosca nessuna IGP. Quindi considerando la bilancia commerciale italiana, con un forte sbilanciamento in export verso il Canada, gli effetti in termini di crescita ed espansione economica sono molto importanti e che ben ripagano gli inevitabili compromessi dell’accordo (ad oggi le esportazioni di prodotti che non verranno riconosciuti IGP compongono lo 0,9% del fatturato totale export).
Interessante sarà anche osservare lo sviluppo politico che avrà questa vicenda, il governo italiano non ratificando l’accordo si assumerà la piena responsabilità della non entrata in vigore e non ci saranno possibilità per tornare indietro.
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