Denominazione di origine inventata. Le bugie del marketing sui prodotti tipici italiani
Il libro svela quante bugie e leggende si nascondono dietro l’industria gastronomica italiana.
“Siete sicuri di volermi ascoltare?” ha iniziato così Alberto Grandi, docente di Storia delle imprese a Parma, alla presentazione del suo libro Denominazione di origine inventata. Le bugie del marketing sui prodotti tipici italiani al Mondadori Bookstore in Corso Palestro a Brescia.
Secondo Alberto Grandi sarebbero state abili operazioni di marketing ad inventare le storie che si raccontano sull’origine di alcuni prodotti di eccellenza italiani. Ai più la sua tesi è apparsa come una forte critica, e tanti si sono sentiti attaccati, ma quella dell’autore può essere vista come una lode celata alla perfetta strategia di marketing utilizzata dai produttori italiani nel corso della storia.
Grandi fa una ricostruzione storica accurata, concludendo che il mito della cucina italiana sia nato negli anni Settanta, quando l’Italia scelse di valorizzare le piccole imprese e il “Made in Italy”. Persa la fiducia nell’industria, l’Italia ha trovato nel settore agroalimentare un appiglio per rilanciarsi puntando tutto sulla cucina.
Fonti storiche sostengono che in Italia non si mangiasse bene, anzi proprio male. Grandi porta l’esempio del Gran Tour, il lungo viaggio nell’Europa continentale effettuato dai ricchi giovani dell’aristocrazia europea a partire dal XVII secolo e destinato a perfezionare il loro sapere. Questi giovani nobili giravano l’Europa per visitare le migliori corti e, tra le varie cose, si appuntavano dove avevano mangiato meglio. Ecco l’Italia non era tra questi.
A costruire la cucina italiana furono soprattutto i paisà, gli immigrati in Nord America che crearono una cucina che era «la fusione di usi locali diversi, che mai in patria si sarebbero incontrati, con l’aggiunta di alcuni prodotti tipici del paese ospitante». Grandi fa una lista di esempi che si trovano nel libro.
Il Parmigiano Reggiano, una DOP tra le più celebrate, è nella tipologia che conosciamo ora, una cosa piuttosto recente. Fino agli anni Sessanta erano in uso forme più piccole dalla crosta nera. Quello più simile a quello creato tanti secoli fa dai monaci emiliani è il Parmesan prodotto nel Wisconsin, in USA.
Il pomodoro di Pachino è stato creato nel 1989 in Israele dalla HaZera Genetics come risultato riuscito di ibridazioni e incroci. Ora è un prodotto a IGP proveniente da parte delle provincie di Siracusa e Ragusa. Non essendo una varietà che cresce da sola, i coltivatori devono riacquistare le sementi ogni anno dalle case produttrici o procurarsi direttamente le piantine dai vivai.
La carbonara, tanto osannata e celebrata, è un’invenzione delle truppe americane e non è altro che la loro tipica colazione, bacon e uova, aggiunta alla pasta.
Curiosa è la storia raccontata sull’origine del cioccolato di Modica. Si racconta che il modo di fare questo tipo di cioccolato provenga da una ricetta azteca che i conquistadores spagnoli trovarono all’epoca del colonialismo. La Sicilia a quel tempo era sotto il regno della Spagna e da lì che ebbe questa ricetta. Ovviamente questa leggenda non ha un fondo di verità, perché il cioccolato di Modica è stato elaborato solo dai primi anni Novanta nella pasticceria Bonajuto, per poi diventare un IGP riconosciuto.
Per non dire del Marsala: fu inventato, commercializzato e prodotto su larga scala da un commerciante inglese che aggiunse alcool al vino al solo scopo di conservarlo meglio durante il trasporto verso la madrepatria.
Il testo di Grandi mette in luce paradossi e storture di un sistema in cui le denominazioni di origine si moltiplicano velocemente e dove i consorzi di tutela fanno risalire la storia del prodotto all’alba dei tempi. I vari marchi DOP e IGP sono passati da strumento per salvaguardare l’economia di un territorio valorizzando gli alimenti di grande qualità, a mezzo per creare monopolio.
In questa ricerca della tradizione e del legame con il territorio, si è dimenticato che ci sono prodotti industriali più antichi e più tipici delle nostre eccellenze, ai quali a volte non viene riconosciuto il giusto valore.
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